29 luglio, 2013

And Watch the World Spinning Gently Out of Time...

Quando mi sono messa a pensare alle domande da fare ai Blur in un'ipotetica intervista, quella che continuava a tornarmi in mente era "Vi ritrovate ancora nei pezzi più vecchi?", che in inglese usa quel "fit" la cui sfumatura indica un andare bene quasi fisico. Essendo nel pieno del "tengo famiglia tour 2013", difficilmente mi avrebbero risposto di no, anche se sono sicura che la stessa domanda, posta nel 2003, mi avrebbe fornito una risposta più sincera – o, semplicemente, quella che io stessa avrei voluto sentire.

Per questo motivo, il primo sentimento che mi ha investita appena le luci si sono accese e il basso di Alex James ha attaccato "Girls & Boys" è stato di grande tristezza. Tristezza, sì, perché il volto di Damon Albarn porta dei segni che meritano di raccontare cose che vanno ben oltre un saltellare sulle vacanze in Grecia o "There's No Other Way", replicando pedissequamente le mossette di 20 anni fa.
Era ridicolo, quasi patetico, e se ci sono due aggettivi che ai quattro Blur proprio non si addicono sono questi.

Flashback: la prima volta che ho visto Albarn, Coxon, James e Rowntree live è stata nel 1997, al Palavobis, per il tour del self titled. Ricordo molto poco di quella serata, era il mio primo concerto. Li ho rivisti due anni dopo, all'Heineken Jammin' Festival di Imola, suonare al tramonto in un autodromo pieno di invasati che aspettavano Marylin Manson. Nel 2003, invece, stavo con una persona che non voleva neanche sentirli nominare. Poraccio.

28 luglio 2013, il mio concerto dei Blur inizia tra "Beetlebum" e "Out of Time". Abbiamo tutti qualche anno di più, e quelle che vogliamo sentirci dire sono cose diverse. Perché "To The End" non la puoi capire nè a 15 nè a 17 anni, ma a 31 sì; e "Trimm Trabb" e Damon con le braccia al cielo a chiederne di più su "Caramel", e la chitarra di Graham Coxon, che è quella che fa la differenza, ché Graham e Damon funzionano come John e Paul, con buona pace dei fratelli Gallagher.


Fa impressione vedere Damon Albarn emozionato, anche se dopo il video del suo pianto su "Tender" a Glastonbury avremmo tutti cantato "Oh my baby/ Oh why?/ Oh My?" per quattro ore, pur di avere anche noi le sue lacrime. Invece, Milano lo rende felice, tanto da provare una capovolta con rincorsa durante "Parklife" e sfracellarsi per terra; o da cantare tutta "Country House" in piedi sulla transenna (sì, lo fa sempre, lo so), ma soprattutto da cambiare la scaletta in corsa – e la cosa più bella che potessi avere davanti agli occhi è stato vederlo parlare sottovoce a Coxon, con quello sguardo e quel sorriso che tutti pensavamo tra i due non ci sarebbero più stati.

Non ho mai pianto durante un concerto. Ieri sera, invece, tanto.
Sono Guia, ho trentun anni, e quello di ieri sarà il mio ultimo concerto dei Blur.

Forse.

[Quella in mezzo è l'unica foto che ho scattato.]

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