19 febbraio, 2014

Everyday Damon

Damon Albarn è un uomo straordinario. Ammiro e rispetto la sua intelligenza e il suo talento come di poche altre persone al mondo.

Lo scorso 17 febbraio la BBC2 ha dedicato una puntata di The Culture Show proprio a lui, portandolo nei luoghi della sua vita e facendogliela raccontare in relazione al disco solista che pubblicherà il prossimo aprile.

Un documentario di mezz'ora, per capire quale sia la profondità del lavoro del frontman dei Blur, che vale la pena di vedere anche solo per sentirgli suonare, al minuto 17:35, "Golden Brown" degli Stranglers con l'organo della chiesa di Colchester.



31 dicembre, 2013

The Year of the Snake

Mi dicono che dovrei tirare le somme del 2013.

Anno strano, musicalmente: pochi concerti, niente festival, ascolti discontinui. Cose smontate, cose abbandonate, cose che avrebbero potuto e invece no.

Lou Reed, incontrato a novembre su un letto torinese.

Essendo fondamentalmente contraria alle classifiche, ecco gli highlights dell'anno che finisce.

- Il disco da mettere in cuffia quando tutto, intorno, dovrebbe scomparire:


- Il disco del genere più lontano dai miei ascolti abituali che invece mi ha fatto impazzire:


- Il disco che ho ascoltato più volte secondo il contatore di iTunes (che esclude quindi iPod, Spotify, viaggi in macchina e giradischi):


- Il disco che ho ascoltato più volte in macchina:


- Il disco che mi sarebbe piaciuto tantissimo tre anni fa ma è arrivato troppo tardi:


- I dischi che aspettavo da anni e, una volta arrivati, non avrei mai voluto ascoltare:






- La canzone che vorrei fosse stata scritta per me:


- Il concerto che aspettavo da anni ed è stato esattamente come avrei voluto: Blur, Milano, 28/07/2013

- Il concerto che aspettavo da anni ed è stato esattamente come non avrei mai voluto: The Growlers, Legnano, 14/11/2013

- Il festival a cui non avrei mai pensato di andare ma che ho seguito (praticamente) tutto, a tratti anche divertendomi: Club To Club, Torino, Novembre 2013


OFF TOPIC:

Non di sola musica fu il mio 2013. Ecco, allora:

- Il miglior libro tradotto in italiano: George Saunders, "Dieci Dicembre" (Minimum Fax)

- Il miglior libro non ancora tradotto in italiano: Rachel Kushner, "The Flamethrowers" (Scribner)

- Anti-Library 2013: Morrissey, "Autobiography" (Penguin Classics)

- La mostra dell'anno: Ragnar Kjartansson, The Visitors @ Hangar Bicocca, Milano


15 novembre, 2013

I Growlers e la lunga tradizione del liscio californiano.

[I Growlers, almeno in apparenza, sono un simpatico quintetto di disagiati californiani che suona un genere da loro denominato "Beach Goth" – etichetta di cui si è poi appropriato Dirty Beaches, ma questa è un'altra storia – di cui ho già parlato un sacco di volte. Ieri sera, per me, grande agnizione]

Ladies and Gentlemen, A Night with The Growlers

C'è una forte discrepanza tra l'atmosfera dei dischi dei Growlers e il loro live. Perché, una volta conosciuti di persona, non sono né simpatici, né (almeno ieri sera) disagiati, al contrario di quanto raccontato dalla maggior parte dei cronisti che li ha seguiti on the road negli Stati Uniti. Ma a Legnano pioveva, non bisogna per forza sempre diventare amici e una sera in cui ti girano capita a tutti. Che capiti a 7 persone contemporaneamente non è così statisticamente usuale, ma si sa, quando si sta a contatto per molto tempo i corpi entrano in sintonia, e quindi, probabilmente, anche il loro ciclo si è sincronizzato. Diciamo che, comunque, ricevere una risposta da avvocato immobiliare da uno a cui ho detto di non preoccuparsi di sparecchiare perché potevo farlo io non mi è mai capitato, ecco.

Quando arriviamo alla venue si sta già consumando un dramma: il tizio del gruppo di supporto (i Tomorrow Tulips, coppia di spanati biondi con una caschetto di capelli tagliato con l'accetta) ha perso il basso a Roma. Sì, ha perso il basso. A Roma. Il bassista di Growlers lo percula dicendogli che non gli farà usare il suo. Il tour manager sta cercando su quello che credo sia il Grindr dei bassisti qualcuno in zona che possa prestare uno strumento. Kyle Straka, nel frattempo, accorda la chitarra mentre, armato di spazzolino, si lava i denti a secco sul palco. Non abbiamo ancora cenato. Sarà la scena più rock'n'roll di tutta la serata, almeno per quanto riguarda chi deve suonare.

I Growlers al soundcheck, lo spazzolino purtroppo non si vede.

Dal vivo, il quintetto di Costa Mesa è anni luce distante da ciò che chiunque si aspetta. O forse no. Vibes, acidi, perdizione: niente di tutto ciò. Sul palco ci sono 5 persone che suonano praticamente la stessa cosa per un'ora e un quarto, la collocazione temporale della scrittura dei brani nella loro carriera è facilmente individuabile dai BPM in caduta libera. Nessuno si muove, se non Brooks Nielsen, il cantante. L'impressione che si ha è quella di un'orchestrina di liscio, con la chitarra riverberata al posto della fisarmonica – a questo punto avrei voluto poter scrivere "e testi che parlano di droghe e zozzerie", ma il quarto verso dall'inizio di 'Hung at Heart' è "One day you're gonna be my wife", quindi non ci siamo neanche più in quello –.

Diciamo che l'impressione generale più che questa


è stata questa



Davanti all'ennesima linea di basso pam pa-pa pam accompagnata dal tremolio della Farfisa ho veramente iniziato a farmi alcune domande su quello che stavo vedendo e ascoltando, e se davvero tutto questo che a noi europei suona tanto psych e alternativo non sia realmente, invece, ciò che in California viene suonato alle sagre di paese. So che può apparire grottesco, e probabilmente aver attraversato un Luna Park in macchina prima di arrivare potrebbe aver aumentato la suggestione, ma il Surf, soprattutto a Orange County, è un genere fortemente storicizzato, e quanto di più vicino a quello che descriverei come Liscio Californiano se mi venisse chiesto a bruciapelo di definirlo.

Non c'è veramente nulla per épater le bourgeois in quello che fanno i Growlers, anzi, è tutto molto prevedibile. I vestiti sporchi, il Barbour allacciato, i capelli inaffrontabili, lo scazzo totale, le mossettine, le storie cantate, l'uso delle droghe. Non c'è niente di psichedelico, nessuna ricerca sul genere (come fanno, invece, gli Allah-Las, che ieri sera tante volte sono comparsi nella mia mente – io che speravo in una loro growlerizzazione, ho invece assistito a una gratuita allah-lasizzazione dei Growlers). Per loro è così, e, probabilmente, non saprebbero neanche spiegarne il motivo.

In un reportage letto stamattina, più volte il cronista li definisce "alieni". Beh, nessuna definizione potrebbe essere più adeguata.

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NOTA:
Nella prima stesura di questo post sono arrivata a citare "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer. Quando mi sono accorta che forse era un po' troppo, ho messo su il vinile verde trasparente che mi sono fieramente accaparrata ieri, nonostante il delirio (l'EP 'Not. Pshyc!' appena uscito), e ho capito una cosa. I Growlers sono l'esatta incarnazione dello stereotipo dell'hipster declinato con quell'accezione negativa che tanto mi incattivisce – dall'atteggiamento all'immaginario, alle scelte estetiche adottate–. Ma quando non c'è nessun altro in mezzo (ciao Dan Auerbach!), e parte il jangle delle loro chitarre, chissenefrega. La California che sogno è proprio quella. Ascoltare per credere.



Last but not least: grazie a Simone Castello per avermi portata con sé.

27 ottobre, 2013

La mia vita in Lou Reed

Un'ora fa ho saputo da un tweet della morte di Lou Reed. Anche se, apparentemente, la mia frequentazione con il musicista newyorkese non era così assidua, la sua impronta nella mia vita è stata molto più profonda di quanto pensassi.

Questa è, in ordine non strettamente cronologico – soprattutto perché non ho voglia di ricostruirla con precisione filologica – la mia vita in Lou Reed.

- Anni Ottanta. Mia mamma porta spesso una t-shirt di un gruppo punk – di cui ora non ricordo il nome – con stampata una parodia della banana di Andy Warhol.

- 1996. "Perfect Day" è nella colonna sonora di "Trainspotting". Ho 14 anni ed è il mio primo incontro con Lou Reed.

- 1997. La BBC raggruppa una serie di celebrità per un singolo di beneficenza. Cantano "Perfect Day" e tra loro c'è anche Shane McGowan. Ho 15 anni, ed è la prima volta che vedo i suoi denti.



- 1998. "Vicious" è nella colonna sonora di Radiofreccia che, volente o nolente, se hai 16 anni è un film che ti segna.

- 1998 di nuovo. Sono in piena crisi Bluvertigo. Morgan & soci suonano insieme a Lucio Dalla (al sax) in un improbabile programma RAI chiamato Tarattattà "Take a Walk on the Wild Side"





- Sempre 1998. Sono in fissa con "Velvet Goldmine". "Satellite of Love" con Ewan McGregor e Jonathan Rhys Meyers su una giostra è una cosa a cui penso spesso.

- (Credo 1999, o forse 2000). Ispirata da "Venus in Furs" compro un paio di Dr. Martens di vernice nera alte fino al ginocchio. Credo che gli stivali a cui pensasse Lou fossero leggermente diversi, ma per me quello è il massimo.
Nel caso ve lo chiedeste: sì, li ho e li uso ancora.

- Data imprecisata ma qui in mezzo. Mia mamma torna a casa un giorno con una copia di "Transformer" incellophanata per me. Mi dice che l'ha trovato sul tavolo del libero scambio della biblioteca e che le sembrava non l'avessi, ma che dovrei. Infatti non ce l'ho, e la adoro.

- 2006, sono in Accademia. Al corso di Ultime Tendenze per le Arti Visive di parla di "Sound & Vision", arte e musica. Da lì è un attimo avere come tormentone che "Nel 1967 sono usciti tre dischi fondamentali per la storia della musica: in UK "Sgt. Peppers..." dei Beatles, negli USA il self titled dei Velvet Underground & Nico con la banana di Andy Warhol e in Italia "Dedicato a..." delle Stelle di Mario Schifano.

- Ancora 2006, lavoro a Vigevano con due mie compagne di Accademia. Non so perché ma a un certo punto a ogni viaggio in treno mi trovo a fare l'imitazione dell'accento newyorkese di Lou Reed in "Waiting for the Man", con loro che muoiono dal ridere.

In a small cafè... Berlino, 3 marzo 2011, il giorno dopo essere arrivata. L'originale è qui

- 2011. Mi trasferisco a Berlino, da sola, per quattro mesi. Ho un programma di residenza per curatori da seguire, ma i primi quindici giorni, prima di iniziare, li trascorro completamente da sola. Vado tutti i pomeriggi nello stesso bar, ordino un caffè e una fetta di torta di ciliegie. Nelle orecchie ho sempre e solo questa



- 12 Ottobre 2013. Una delle due compagne di avventura vigevanesi compie gli anni. Si è trasferita da qualche anno a New York, e nel farle gli auguri le dico che ormai l'accento verrà meglio a lei che a me.

- 27 Ottobre 2013. RIP Lewis Reed.

29 luglio, 2013

And Watch the World Spinning Gently Out of Time...

Quando mi sono messa a pensare alle domande da fare ai Blur in un'ipotetica intervista, quella che continuava a tornarmi in mente era "Vi ritrovate ancora nei pezzi più vecchi?", che in inglese usa quel "fit" la cui sfumatura indica un andare bene quasi fisico. Essendo nel pieno del "tengo famiglia tour 2013", difficilmente mi avrebbero risposto di no, anche se sono sicura che la stessa domanda, posta nel 2003, mi avrebbe fornito una risposta più sincera – o, semplicemente, quella che io stessa avrei voluto sentire.

Per questo motivo, il primo sentimento che mi ha investita appena le luci si sono accese e il basso di Alex James ha attaccato "Girls & Boys" è stato di grande tristezza. Tristezza, sì, perché il volto di Damon Albarn porta dei segni che meritano di raccontare cose che vanno ben oltre un saltellare sulle vacanze in Grecia o "There's No Other Way", replicando pedissequamente le mossette di 20 anni fa.
Era ridicolo, quasi patetico, e se ci sono due aggettivi che ai quattro Blur proprio non si addicono sono questi.

Flashback: la prima volta che ho visto Albarn, Coxon, James e Rowntree live è stata nel 1997, al Palavobis, per il tour del self titled. Ricordo molto poco di quella serata, era il mio primo concerto. Li ho rivisti due anni dopo, all'Heineken Jammin' Festival di Imola, suonare al tramonto in un autodromo pieno di invasati che aspettavano Marylin Manson. Nel 2003, invece, stavo con una persona che non voleva neanche sentirli nominare. Poraccio.

28 luglio 2013, il mio concerto dei Blur inizia tra "Beetlebum" e "Out of Time". Abbiamo tutti qualche anno di più, e quelle che vogliamo sentirci dire sono cose diverse. Perché "To The End" non la puoi capire nè a 15 nè a 17 anni, ma a 31 sì; e "Trimm Trabb" e Damon con le braccia al cielo a chiederne di più su "Caramel", e la chitarra di Graham Coxon, che è quella che fa la differenza, ché Graham e Damon funzionano come John e Paul, con buona pace dei fratelli Gallagher.


Fa impressione vedere Damon Albarn emozionato, anche se dopo il video del suo pianto su "Tender" a Glastonbury avremmo tutti cantato "Oh my baby/ Oh why?/ Oh My?" per quattro ore, pur di avere anche noi le sue lacrime. Invece, Milano lo rende felice, tanto da provare una capovolta con rincorsa durante "Parklife" e sfracellarsi per terra; o da cantare tutta "Country House" in piedi sulla transenna (sì, lo fa sempre, lo so), ma soprattutto da cambiare la scaletta in corsa – e la cosa più bella che potessi avere davanti agli occhi è stato vederlo parlare sottovoce a Coxon, con quello sguardo e quel sorriso che tutti pensavamo tra i due non ci sarebbero più stati.

Non ho mai pianto durante un concerto. Ieri sera, invece, tanto.
Sono Guia, ho trentun anni, e quello di ieri sarà il mio ultimo concerto dei Blur.

Forse.

[Quella in mezzo è l'unica foto che ho scattato.]

23 luglio, 2013

Stronger than me

Quando mi hanno dato la notizia, il 23 luglio del 2011, ero a uno skate-park di provincia sul lago in attesa di iniziare il primo (e unico) DJ set di tutta la mia vita. Avevo appena finito di scrivere a una delle mie migliori amiche un'email il cui oggetto era "Sounds as if you're reading from some other tired script" –cosa che, peraltro, della persona a cui era riferito continuo a pensare–.

Di tutte le cose che sono state scritte su Amy Winehouse per la sua morte, la mia preferita è la lettera di Russell Brand, l'unica in grado di far capire in cosa fosse rimasta intrappolata la cantante.

Il passaggio chiave è questo:
"Carl Barat told me that “Winehouse” (which I usually called her and got a kick out of cos it’s kind of funny to call a girl by her surname) was a jazz singer, which struck me as bizarrely anomalous in that crowd. To me with my limited musical knowledge this information placed Amy beyond an invisible boundary of relevance; “Jazz singer? She must be some kind of eccentric” I thought."

Ecco, quello che stava succedendo alla ragazza che cantava 'Tenderly' al piano parlando di Sarah Vaughan con Jools Holland era presentare dei demo così




per poi far uscire dei dischi così



"Music is a journey. Jazz is getting lost."
John O'Farrell